Sempre più lavoratori si chiedono se convenga lasciare il TFR in azienda o investirlo in un fondo pensione. Una domanda tornata d’attualità dopo la relazione IVASS presentata a Giugno 2025, che ha evidenziato la crescita del Ramo Vita nel 2024 e il suo impatto sulla previdenza complementare. Ma cosa significa davvero scegliere un fondo pensione rispetto al TFR in azienda? E cosa conviene nel 2025?
Questo dato, non trascurabile, conferma la solidità e l’affidabilità del sistema assicurativo italiano, particolarmente quello Vita tanto da, in un successivo passaggio, influire su un altro settore ad esso strettamente collegato, ovvero quello della previdenza complementare gestita, per l’appunto, proprio da questo ramo assicurativo.
Come si sa, l’adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria, per cui spetterà solo al lavoratore decidere sulla destinazione del TFR (acronimo di Trattamento di Fine Rapporto). Per ovvi motivi, va precisato che in questo ambito rientrano solo i lavoratori dipendenti, restando quindi esclusi gli autonomi.
La scelta della destinazione del TFR va dichiarata dal dipendente all’atto della firma del contratto di lavoro il quale, comunque, se al primo impiego, ha un margine di tempo di sei mesi per la sua decisione.
Ove avesse optato per la previdenza complementare, dal 2007 il lavoratore deve fare un’ulteriore scelta, ovvero se indirizzare il TFR ad un Fondo Pensione ad adesione collettiva (es.: metalmeccanici) oppure ad un Piano Integrativo Pensionistico (PIP) ad adesione individuale o, diversamente, mantenerlo in Azienda. Dunque, il TFR può essere trasferito in un PIP purché non sia stato già versato al Fondo Tesoreria INPS, nessun problema, invece, se il TFR sia in Azienda. Il TFR rappresenta il 6,91% della retribuzione lorda annua del lavoratore.
È intuitivo che la scelta deve essere ponderata, tenendo conto di fattori importanti come quelli legati all’età, al livello di reddito nonché degli obiettivi a lungo termine che ci si è posti.
C’è da dire che lasciare il TFR in azienda è certamente la scelta più facile in quanto non implica costi aggiuntivi né, tantomeno, richiede azioni particolari da parte del lavoratore ma, parimenti, non è da ritenersi la scelta migliore; la differenza consiste nel fatto che la previdenza complementare, consente di poter investire attivamente il proprio TFR, di poterlo integrare con altri versamenti volontari e di poter sfruttare tutte le opportunità che i mercati finanziari offrono. Difatti, le polizze assicurative prevedono che una percentuale del TFR, a scelta dell’assicurato, sia indirizzata alle Gestioni Separate (quindi Fondi obbligazionari) e l’altra a Fondi Azionari interni che, in un arco temporale a medio/lungo termine, potrebbero consentire risultati certamente più apprezzabili. Non trascuriamo, poi, la deducibilità nella dichiarazione dei redditi, sino ad un max di 5.164,57 Euro.
È stato accertato che, prevalentemente nelle regioni più ricche del paese, i lavoratori sono più propensi alla previdenza complementare e, in particolar modo in Lombardia, ciò per la sua indiscussa centralità economica e finanziaria ed, anche, per il più accentuato livello di alfabetismo assicurativo/finanziario che colà si registra.
Il TFR viene liquidato al termine del rapporto di lavoro, tuttavia, in taluni casi, sono possibili delle anticipazioni come quelle per spese sanitarie per patologie importanti, per l’acquisto della prima casa o per spese da sostenere durante i congedi per maternità. La condizione è che siano trascorsi almeno 8 anni di servizio e che la richiesta sia limitata a non oltre il 70% del maturato. Analogamente, anche la previdenza complementare prevede ciò, più precisamente sino al 75% per acquisto o ristrutturazione prima casa, 75% per spese sanitarie, e fino al 30% per altri casi non legati ad un particolare motivo.
Come si può rilevare, l’adesione al Fondo Pensione concede condizioni migliorative anche in termini di tassazione, quest’ultima per la riforma del 2005 con la quale lo Stato ha voluto incentivare la previdenza complementare, ricorrendo, per l’appunto, ad un regime fiscale agevolato.
Potremmo dilungarci ancora molto sull’argomento, tuttavia, sulla base di quanto sin qui detto, appare evidente quanto sostanziale sia la differenza nella scelta e AXA, sull’argomento, ha molto da potervi dire ed offrire.
Mimmo Inzerillo